
Gianfranco Parmiggiani
Dopo il Concilio Tridentino, niente o meglio eresia diffusa. Specie tra le antiche mura della Chiesa dove allignerebbe una confraternita di preti (di fatto spretati) protestanti nella migliore delle ipotesi e miranti a mettere fine al culto del Cristo eucaristico. Grazie soprattutto o causa dell’ultimo Concilio, il Vaticano II°, foriero di interpretazioni pericolose.
Si potrebbe sintetizzare così la tesi del fulmineo (non nella gestazione) e acceso libello dello storico dell’architettura, il reggiano Stefano Maccarini Foscolo, dal titolo “Assassinio della Cattedrale“, edito dai tipi veronesi di “Fede e cultura”con presentazione di monsignor Nicola Bux. E che sarà presentato venerdì sera al Posta di Reggio. Il sottotitolo è tutto un programma ed è conseguente pioggia delle tesi di cui sopra: “Ipotesi, drammi e lacerazioni di una chiesa sfigurata: il caso di Reggio Emilia”, dove il termine “ipotesi” è del tutto legittimo, “drammi e lacerazioni” sono forse più ascrivibili ai dilemmi dell’autore che non sensazioni diffuse e dove “chiesa sfigurata” è francamente argomento di difficile condivisione. A meno che non si intendano templi, fisicamente intesi, che attendono una bella ripulita, un adeguato restauro o un sacrosanto recupero.
Libello che cade, guardacaso, a pochi giorni dal Giubileo della Cattedrale quando i nuovi poli liturgici saranno finalmente inaugurati e presentati al pubblico, di fedeli e non. Maccarini dice di parlare anche a nome di un gruppo di credenti in completo disaccordo, sul fronte dell’adeguamento liturgico almeno, con la gerarchia ecclesiastica di casa nostra e affigge un monito all’inizio del pamphlet: “Questo libro non sarebbe mai stato scritto se chi poteva avesse ascoltato, chi doveva , avesse vigilato, chi voleva , avesse dialogato” facendo nemmeno tanta in volontaria ammissione di aver dato vita più che altro ad un grosso sfogo nero su bianco.
Ma il “caso” della cattedrale, nello sviluppo delle pagine del libretto, sembra più che altro un pretesto, per una critica avvolgente a tutto l’episcopato Caprioli e alle scelte che hanno caratterizzato il suo mandato ormai scaduto. Il nostro scrittore ne ha per tutti senza fare, se non nei casi che più si prestano, nomi e cognomi: per don Giuseppe Dossetti junior e i materassi dei poveri nella chiesa di S.Pellegrino, per i “Dialoghi in cattedrale” e l’aver dato parola, nientepopodimeno che in Duomo, a opinionisti laici, per il corpo di ballo diocesano con danzatrici scalze (invece delle Carmelitane), “pingui ed esili suore” (come a dire no a bulimia e anoressia, sì invece, care sorelle ad un regime alimentare equilibrato che vi porti al peso forma), “giovani ballerine mancate” (già, state a casa a fare i cappelletti invece di riversare sulla Chiesa le vostre frustrazioni artistiche), fino alla “ghettizzazione della liturgia latina” da parte della curia vescovile (il latino, come tutti sanno, lingua ancor oggi ampiamente utilizzata specie dalla gente comune: “quod capita, tot sententiae” si sente regolarmente dire nei bar commentando la frammentazione del Pd). Ma non manca un accenno, apparentemente buttato lì, che coinvolge anche il vescovo emerito monsignor Gilberto Baroni nell’aver dispensato, temporibus illis (così il Maccarini è contento), i canonici della Cattedrale dalla Liturgia delle Ore comunitaria; in parole povere, siamo fermi, con tutto il rispetto dovuto al vescovo Socche.
Ed è questo spirito polemico che aleggia, anzi primeggia nell’intersecarsi dei capitoletti e lega ogni cosa di Chiesa che tocca e si fa paradosso settecentesco nella critica alla ricognizione canonica dei Santi Crisanto e Daria, laddove l’autore si chiede se “la fede dei singoli ha bisogno di essere supportata dalla ricerca del sapere”. Come a dire che la devozione popolare è più attendibile dell’esame del Dna. Il libro ha il chiaro sapore della provocazione e non manca allo storico dell’architettura una certa dose di coraggio; “Assassinio della Cattedrale” fa il verso al capolavoro di Eliot “Assassinio nella Cattedrale”. Con cui l’autore apre il volumetto forse immedesimandosi col martirio di Tommaso da Canterbury: “ Ed ora ciò che rimane da mostrare a voi della mia storia, a molti sembrerà nient’altro che una futile vicenda, l’insensato suicidio di un lunatico, l’arrogante passione di un fanatico ”. Non ce voglia Maccarini, ma un poco sì.
Crociato / 9 Novembre 2011
Grande architetto, avanti così! Combattiamo contro l’avanzata delle armate di satana!
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Alberto (da Giussano) / 9 Novembre 2011
Va bene il gusto discutibile delle nuovi arredi del duomo, ma arrivare a ipotizzare l’opera del Maligno è proprio folle
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Roberto / 10 Novembre 2011
Secondo me bisognerebbe attendere il completamento dei lavori prima di giudicare. Di sicuro il fatto che si parli tanto di una brutta chiesa come il duomo significa che l’operazione è andata a buon fine
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sconsolato / 10 Novembre 2011
Lode e bislode al direttore per l’esaustiva, condivisibile ed opportuna recensione del libello foscoliano. Mi pare di capire che la montagna ha partorito il topolino. La chiave di lettura sarcastica pare l’unica percorribile a meno che non si sposi la tesi del satana imperante. Ma tutto direttore- come ella ben sa – ha un senso: finalmente il Caprioli sarà ricordato per qualcosa! Un solo appunto: temo che più che il pingue Socche l’architetto si rifaccia al suo predecessore mons. Eduardo Brettoni, vescovo e principe, che non si degnava di versarsi neppure da bere: il caneriere personale in livrea (che ho personalmenete conosciuto) era l’unica persona che poteva porgergli la coppa. Che charme !
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