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Piazza Affari, le aziende reggiane e la crisi

Federico Parmeggiani

A volte per farsi un’idea dell’andamento dell’economia di un territorio può essere utile dare una scorsa ai prezzi di mercato delle principali società quotate che in esso operano.

La provincia di Reggio Emilia è sempre stata sede di un numero elevato di società quotate, e, nonostante negli ultimi anni sia stata funestata dall’insolvenza di un grande gruppo operante nel settore della moda facente capo a sua volta ad altre società quotate, la “Città del Tricolore“ permane un luogo a forte vocazione industriale, dove accanto ad una galassia di piccole e medie imprese convive fortunatamente una buona quantità di imprese grandi.

Una doverosa premessa: quotarsi in borsa è universalmente considerato un modo per raccogliere capitale di rischio da investire nella propria impresa, ma in Italia, storica patria di realtà imprenditoriali non proprio trasparenti, è anche indice della volontà di sottoporsi a controlli periodici più stringenti e a promuovere una gestione più aperta e sotto i riflettori mediatici. Pertanto, presupponendo che la Consob svolta diligentemente il lavoro cui è preposta (forse un po’ meglio che in passato…), la quotazione in borsa di un’impresa privata che intende operare in un contesto di libera concorrenza, rispettando le regole del gioco, permane un passo importante che contraddistingue il capitalismo maturo e che va salutato con favore.

Infatti, dai prezzi di mercato delle azioni possono essere estratte importanti informazioni, e, perfino quando il mercato è irrazionale perché percorso da una storica ondata di sfiducia (quale è il momento attuale), i prezzi servono quantomeno a misurare il suo pessimismo e a prendere i provvedimenti più opportuni per tentare di arginarlo.

Tanto premesso, è interessante esaminare l’andamento sul mercato azionario negli ultimi cinque anni di quattro importanti società quotate reggiane, operanti in settori industriali differenti. Le società in questione sono Interpump, Emak, Landi Renzo, e RCF Group. Operano in diversi settori ma hanno in comune la forte vocazione all’esportazione e l’alta tecnologia dei prodotti che offrono sui mercati internazionali. Queste caratteristiche le rendono un campione molto calzante e significativo non solo con riferimento al territorio reggiano, ma più in generale a tutta la pianura padana, la cui economia ha come pilastri grandi imprese come queste. Inoltre, a differenza degli istituti finanziari che in Italia hanno in genere una vocazione nazionale e che sono molto sensibili agli impulsi emotivi del mercato, queste quattro imprese possono essere giudicate dai fondamentali ricavabili dai loro bilanci, che, a guardarli, danno prova della loro solidità patrimoniale.

Cosa ci dicono dunque i prezzi di mercato che le scritture contabili non ci dicono?

In questi casi i mercati ci offrono la percezione degli investitori nei confronti di un’impresa, la fiducia che in essa è riposta, il cosiddetto “sentiment” sulle prospettive future che vengono attualizzate tramite la loro incorporazione nei prezzi delle negoziazioni. Dando una scorsa all’andamento di ognuno dei singoli titoli verrebbe da pensare che negli ultimi anni le cose non siano andate troppo bene, avendo perso ciascuna delle società esaminate decine di punti percentuali dall’estate del 2007 a oggi. Da questo punto di vista i prezzi sembrano riflettere la crisi che sta attraversando su scala più ampia il capitalismo italiano, intrappolato nella tempesta dei mercati finanziari, e incapace di creare sinergie che spingano le imprese a crescere di numero e soprattutto di dimensione. Per avere una visione più completa del fenomeno è opportuno però esaminare anche l’andamento nel medesimo periodo dell’indice che comprende tutte le società quotate alla Borsa di Milano, ossia il FTSE All Share.

Confrontando l’andamento delle società reggiane con quello generale dell’indice appare anche a occhio evidente come non solo le imprese nostrane abbiano a grandi linee seguito il trend del listino di Borsa Italiana, ma addirittura in alcuni casi siano riuscite a registrare una performance lievemente migliore, o in termini di caduta più lenta nei momenti di crisi o in termini di recupero più marcato nei momenti di ripresa.

Inoltre merita di essere segnalato che, nonostante i tempi attuali di fortissima instabilità sui mercati non consentano certo di registrare performance accattivanti – anche solo per il mero fatto che ogni emittente risente del “rischio paese” dato dalla debolezza dello stato sovrano in cui ha sede la propria attività – una delle imprese esaminate sembra essersi visibilmente risollevata dalla fine dell’anno scorso, arrivando a toccare quasi i valori pre-crisi. E’ il caso di Interpump, gruppo industriale che produce pompe idrauliche e che negli scorsi anni ha conosciuto una consistente espansione, avendo anche operato una politica di acquisizioni mirate, aventi come bersaglio imprese italiane ed estere operanti in settori affini a quelli del gruppo. Dal caso specifico di tale impresa è forse possibile trarre alcune preziose indicazioni su quali siano le caratteristiche che consentono a un’impresa di resistere sul mercato (anche finanziario) in tempi burrascosi come quelli attuali.

In primo luogo, è un punto di forza l’appartenenza a un settore industriale e non finanziario, che consenta di avere i piedi ben piantati nell’economia reale e da risentire meno del ciclo economico negativo. In secondo luogo contano le dimensioni grandi e transnazionali dell’impresa, che non solo ampliano le prospettive del suo business, ma soprattutto la emancipano almeno in parte dall’impatto che il “rischio-paese” ha sul giudizio dei mercati. Infine, è essenziale la propensione agli investimenti, sia nella ricerca di nuovi prodotti sia in quella di nuovi mercati, in modo da essere costantemente al passo con i propri concorrenti internazionali.

Ovviamente questi tre punti di forza sono in gran parte interdipendenti e per funzionare debbono essere combinati insieme: la capacità di investire in ricerca dipende, infatti, dal numero di risorse che si hanno disponibili, risorse che a loro volta dipendono dalle dimensioni dell’impresa e dalla sua capacità di diversificare il proprio business in più settori e in più mercati esteri.

Viviamo tempi difficili e quelli che si prospettano paiono non certo migliori, sarebbe pertanto opportuno che i punti di forza enumerati assurgano pubblicamente a connotati paradigmatici dell’industria italiana che resiste e rappresentino quindi un traguardo per quella galassia di medie imprese emiliane che oggi risentono più di tutte del peso di questa crisi inestricabile, di cui al momento non si vede la fine. Più rapidamente tale traguardo sarà perseguito, più solida sarà anche l’immagine che l’economia italiana darà sui mercati internazionali.

Ultimi commenti

  • Molto interessante, finalmente dati e grafici !

    A parte, evidenzio una totale scandalosità della Consob, come dimostra il caso aumento di capitale Fondiaria-Sai-Ligresti-Unipol.

  • Quindi, per capirci, dobbiamo seppellire i nostri soldi sotto un albero, investirli in obbligazioni industriali o tenerli in banca, vorremmo sapere.

  • Cari amici, non sarebbe intellettualmente onesto da parte mia utilizzare gli spazi che mi concedono gli amici di 7per24 per dare espressamente consigli di investimento, attività peraltro regolata dal Testo Unico sulla Finanza e sottoposta a uno stringente regime di vigilanza.

    Quello che volevo sottolineare è che i prezzi di mercato sono utili perché ci dicono cosa la collettività degli investitori (anche quelli più esperti e sofisticati come banche e imprese d’investimento) pensa di un dato titolo.
    In molti casi possono avere ragione, in altri, quando si parla di azioni di società quotate, l’analisi del loro bilanci e dei loro fondamentali può dirci molto di più, anche prescindendo dai numeri e facendo ricorso al buonsenso.
    Quello che quindi mi sento di dire è che specie in tempi di contrazione dei consumi e della domanda interna, le imprese che operano in più mercati internazionali, che diversificano il loro business e che innovano costantemente, sono quelle che anche quando il mare è in tempesta continuano a galleggiare.
    E le imprese reggiane non fanno eccezione.
    Il mio auspicio è che questa crisi spinga le imprese piccole e medio-piccole che rischiano di essere travolte a fondersi insieme ogni volta che le loro attività lo consentono. In questo modo avremo meno imprese ma più grandi e prevedibilmente più in grado di battersi sui mercati europei e mondiali ad armi pari coi nostri concorrenti europei e americani, che in genere hanno dimensioni maggiori.