Jean Verdon tradotto da Dolores Boretti
Ho visitato questa bellissima mostra a Parigi alla Tour Jean sans Peur e ho tradotto il saggio.
Nel Medioevo, marito, moglie, figli, ma anche servitori, ed estranei di passaggio, dividevano letti immensi. E quasi sempre, di notte non si rivestivano che della loro sola nudità. E di una cuffietta da notte. L’autore del Mesnagier de Paris, opera composta da un anonimo ricco borghese verso il 1393 per la sua giovane moglie, consiglia a quest’ultima, quando il marito rientra stanco morto, di “farlo coricare nelle bianche lenzuola, con una bianca cuffietta, ben coperto sotto calde pellicce, e colmarlo di altre gioie, battiti, libertà, amori e segreti che passo sotto silenzio”. A giudicare da questa frase, il nostro uomo non porta per dormire che una cuffietta da notte! E, di fatto, nel Medioevo, si dorme nudi. Si dorme anche insieme. Con delle eccezioni, in particolare di quel che concerne i monaci.
Niente camicia da notte o pigiama sotto le lenzuola! I testi dell’epoca, e in particolare le fonti letterarie, lo attestano. Queste fonti riportano certo fatti immaginari, ma in un quadro reale, quello dell’epoca in cui sono state scritte. È così che una delle Cent Nouvelles Nouvelles, raccolta di aneddoti redatta verso la metà del XV secolo alla corte di Filippo il Buono, duca di Borgogna, racconta la storia della “lampreda fantasma”. Un mercante Tours acquista una lampreda bella grossa, ma la moglie la regala al suo amante. Non vedendo più il pesce, suo marito vuole punirla e, per far questo, nasconde delle verghe di betulla vicino al letto. ”Si attardò a lungo fuori, finché non ebbe la certezza di trovare la sua signora nuda a letto”. Ma la moglie, molto astuta, si è fatta rimpiazzare: “Ella fece spogliare la sua cameriera e la fece coricare al suo posto”. È dunque la cameriera che si becca le bastonate. La moglie, tornando allora dalla casa del suo amante con il quale ha mangiato la lampreda, rifà il letto, mette altre lenzuola. Poi, appena la cameriera se n’è andata, ”appena lo potè, ritornò a casa sua, si svestì completamente e, nel bel letto che aveva preparato, si coricò e dormì a pugni chiusi fino al ritorno del marito. A quel punto gli giura di non aver mai acquistato la lampreda e di non esser stata mai picchiata”. Sollevò le lenzuola e le rigettò, poi si mostrò nuda, senza un livido, né la minima escoriazione”. L’ingenuo mercante si convince allora di aver sognato.
Altro esempio, che permette di arrivare alla medesima conclusione… cioè che il fatto di non togliersi la camicia sia presentato come eccezionale: Lancillotto, ne Il Cavaliere della carretta, romanzo di Chrétien de Troyes scritto verso il 1171-1181, affronta molte “fatiche” sul modello di Ercole. In particolare, deve resistere a una damigella che gli offre ospitalità, e persino il suo letto. “Un letto è preparato nel mezzo della sala. Le lenzuola sono molto bianche, ampie e fini. Una coperta fatta di due stoffe di seta a fiori è stesa sul letto. E la damigella si corica, ma non si toglie la camicia”. Ora Lancillotto ama un’altra donna e vuole restarle fedele; ma ha promesso alla bella di coricarsi nel suo stesso letto. Che fa allora? “Va anch’egli a coricarsi, ma senza togliersi la camicia come la sua compagna aveva fatto. Ha gran timore di toccarla”. La damigella si rende conto del suo stato d’animo. Poiché egli ha mantenuto la promessa, non gli domanderà niente di più. “Ella si leva. Il cavaliere non ne ha dispiacere. La damigella lo vede bene. Ella si reca nella sua stanza. Ella si corica completamente nuda…”. In questo caso, il fatto di lasciarsi la camicia è messo in relazione con la sessualità. Quanto ad addormentarsi, lo si fa nudi.
Come procedevano i nostri antenati? La risposta non è una sola e deve anche tener conto delle epoche – il Medioevo si estende per dieci secoli – e delle categorie sociali. Il signore contemporaneo di Lancillotto comincia con il togliersi gli abiti, che sospende a una sorta di appendipanni, cioé ad un bastone infisso nel muro. Ma è soltanto una volta a letto che ci si toglie la camicia. La si mette sotto il cuscino così si può riprenderla prima di alzarsi.
È probabile che tra i popolani coricarsi fosse di norma più semplice. I testi narrativi e non letterari testimoniano quest’abitudine di dormire nudi, come il Registre de l’Inquisition di Jacques Fournier (1318-1325). Arnaud Sicre riferisce che una notte, dorme nello stesso letto con un certo Bélibaste. Quest’ultimo, nota, si è tolto la camicia, ma non i calzoni. Questa sottolineatura fa pensare che Arnaud, dal canto suo, si è tolto tutti gli abiti.
In inverno, secondo l’autore del Mesnagier de Paris, il marito deve avere un buon fuoco senza fumo ”e ben coricato tra le vostre mammelle, ben coperto, e là stregatelo”, cioè soddisfate il suo piacere. Ma un camino, e non ne dispongono tutte le camere, non permette di scaldare bene un locale. Si comprende che una cuffietta da notte sia necessaria, altrettanto che non le coperte. Le pellicce giocano un ruolo molto più importante di oggi, perché servono alla fabbricazione di cuscini e di coperte o trapunte. L’inventario di Carlo V, nel 1379, menziona “venti coperte e due fodere di rivestimento”, mentre una sola è rivestita con un lenzuolo. Se le coperte usate dai grandi personaggi di corte nella prima metà del XIV secolo misurano generalmente tra gli 11 e i 14 m2, le loro dimensioni aumentano verso la fine del secolo. La più grande coperta conosciuta appartiene a Carlo V e misura 8,36 x 4,64 m, per una superficie totale di 38,79 m2. Più tardi, le coperte sembrano corrispondere meglio alle dimensioni dei letti. Nei XV secolo, le stoffe fanno concorrenza alle pellicce, che si diradano verso il 1450. La maggior parte delle coperte è ormai foderata di taffeta, di tessuto di seta, talvolta di cotone.
Il letto medievale assomiglia molto al letto contemporaneo. Esso comporta tre elementi: il legno del letto; il letto propriamente detto, ciò che corrisponde in modo più specifico alla nostra biancheria; infine le stoffe che, disposte attorno e al di sopra del letto, proteggono il dormiente da sguardi indiscreti, dalla luce o dalle correnti d’aria. Alcuni letti sono larghi una piazza e mezzo, due piazze e perfino tre piazze, la piazza corrisponde probabilmente al posto di una persona. Nel XIV secolo, il letto di Francesco Datini, ricco mercante di Prato, e di sua moglie Margherita, ha una larghezza di 3,50 m e comprende una predella, che funge al tempo stesso da sedile e da baule.
Non sorprende, in queste condizioni, che i letti medievali ospitassero non soltanto marito e moglie, ma anche figli, amici, domestici, a volte gli ospiti. Una lettera di remissione del 1395 segnala che due abitanti di Poitiers sono colleghi da molto tempo, “coricandosi, alzandosi e lavorando insieme”. Un’altra lettera del 1398 riporta il seguente aneddoto: Jean Jourdain, sarto trasferitosi a Parthenay, si vede venire in bottega un giovane inglese di nome Guillemin, operaio sarto di passaggio in città. Jean Jourdain lo assume. L’indomani, poiché un operaio che ha ospitato Guillemin la notte precedente rifiuta di ospitarlo di nuovo, Jean Jourdain lo ospita e lo fa coricare nel suo letto con sua moglie già addormentata, mettendosi lui in mezzo. Durante la notte, Guillemin vuole violentare la donna che si difende, gli dà un pugno e si butta giù dal letto per andare a cercare una candela. Poiché Guillemin riesce a spegnere anche questa, la donna si mette a gridare. Il marito si sveglia, salta su e costringe Guillemin a lasciare sua moglie. Alla fine, difendendosi, Jean Jourdain uccide il giovane inglese.
Altro aneddoto, ma che mostra l’eccezione che conferma la regola: Joinville, malato e incapace di alzarsi, fa venire il suo cappellano per dire messa. Il prete, parimenti sofferente, perde conoscenza nel corso della consacrazione. “Quando vidi che stava cadendo, riporta il cronachista, io, che indossavo la mia cotta, saltai giù dal letto senza scarpe, e lo presi tra le braccia, e gli dissi di fare la sua consacrazione con tutta calma e tranquillità”. Joinville non è dunque nudo. Quando la nave dei crociati, nel 1254, s’incaglia su un banco di sabbia a Cipro, Joinville si alza perché è coricato. Uno dei suoi cavalieri gli porta allora un surcotto foderato di pelliccia “perché non avevo indosso che la cotta”. Quanto al re, “teneva le braccia in croce, la fronte in terra, sul ponte della nave, senza scarpe, con la semplice cotta e tutto scarmigliato”. Sembra dunque che i crociati indossassero qualcosa di notte.
La fine del Medioevo vedrà svilupparsi la ricerca dell’intimità. Nelle dimore signorili, la stanza dove si dorme si distingue dal “salone/sala da pranzo”. E se, nelle case popolari di Montaillou, la parte centrale è costituita dalla cucina, si dorme nelle stanze attigue, o situate al primo piano. Raymonde, figlia di Pierre Michel, descrive così la casa dove vive a Prades d’Aillon, un villaggio vicino. “C’erano, in un ambiente di casa nostra, due letti: uno nel quale dormivano mio padre e mia madre, l’altro destinato agli ospiti di passaggio”. Questo ambiente è attiguo “alla cucina, con la quale comunicava con una porta. Io e i miei fratelli dormivamo in una camera che era a fianco alla cucina, che si trovava in mezzo”.
Così dover dormire tutti insieme è sentito come un obbligo. Coloro che ne hanno la possibilità preferiscono dormire soli o con una persona di famiglia – anche se a volte un domestico occupa una cuccetta nella camera del proprietario.
Dormire nudi e insieme prende così una connotazione sessuale. All’opposto, il vestito è un segno di castità. Così, quando il re Marco scopre Tristano e Isotta addormentati, i suoi sospetti sono dissipati dal fatto che la regina si è lasciata la camicia e Tristano i calzoni. Così è senza dubbio per questo che la camicia da notte si diffonde, almeno nelle classi sociali elevate.
Tradotto dal francese da Jean Verdon, Au lit: sans chemise sans pyjama, in “Historia” 656, 1 giugno 2001