
E’ un 11 settembre in cui il ricordo si mescola con la preoccupazione. Celebrazioni sobrie sull’orlo di una nuova crisi mondiale.
A 12 anni dall’attacco alle Twin Towers i venti di guerra che spirano sulla Siria non fanno che riacutizzare lo shock di quel giorno. Dodici anni fa l’attacco alle Twin Towers fu il prologo di una guerra al terrorismo dispendiosa e inefficace, una crociata contro il fondamentalismo islamico, “nemico dell’Occidente”, di cui ancora oggi non si vede la fine.
Prima l’intervento armato in Afghanistan, centro di una ragnatela del terrore che ha dimostrato di essere capillare ed in grado di essere tessuta costantemente. Poi l’invasione dell’Iraq. Nonostante questo Al Qaeda resiste e continua a mettere in soggezione intelligence e dipartimenti della difesa. Il più banale degli allarmi, data l’ipertensione figlia di quel drammatico 11 settembre 2001, è in grado di dare adito a coprifuoco, allarmi sicurezza e blocchi di aeroporti e stazioni. Ultimi in ordine di tempo, ad agosto, la chiusura delle ambasciate e dei consolati statunitensi nei paesi mediorientali e lo schieramento di massicce forze speciali a protezione di bersagli a stelle e strisce presenti nelle principali capitali europee. Negli stessi giorni una telefonata anonima, poi rivelatasi senza fondamento, al dipartimento di polizia di Filadelfia costrinse un aereo della US Airways ad un atterraggio d’emergenza nella città sull’East Coast.
Dodici anni dopo, Bashar el Assad, presunto carnefice chimico di civili, avverte che un’eventuale intervento armato in Siria provocherà ripercussioni contro gli Stati Uniti. Alle 21 di ieri, ora di Washington, il Presidente Obama ha parlato alla nazione, un discorso di 17 minuti in cui ha esplicitato la necessità di agire “per ragioni di principio e per la nostra sicurezza”.
Bizzarro annunciare ai cittadini la necessità di un intervento proprio alla vigilia dell’11 settembre, ma la repentina evoluzione della situazione internazionale lo imponeva. Il discorso di ieri è stato ascoltato da milioni di americani, gli stessi americani che oggi di guerre “per ragioni di principio” non ne vogliono sentir parlare.