E’ successo un po’ di tutto a queste elezioni politiche. C’è stato perfino, è avvenuto a Napoli, chi ha defecato nella scheda elettorale, o più probabilmente si è portato la deiezione organica da casa.
Riassumendo in maniera brutale, Enrico Letta tornerà a Parigi, del suo campo largo, bombardato senza pietà dagli elettori, non sono rimaste che macerie. Letta è riuscito a eguagliare il record negativo di Renzi del 2018 e a fare sprofondare il Pd al 19%: non era facile, ma, facendosi portare per mano verso il baratro da Bersani, ci è riuscito. Non avendo saputo scegliere tra il riformismo di Draghi e il populismo dell’Avvocato del Popolo Conte, alla fine gli elettori hanno votato gli originali, ovvero Renzi-Calenda da una parte e i 5S dall’altra, anziché la brutta copia piddina. Che succederà ora al Pd? Facile prevederlo. A livello nazionale torneranno i Ds, cioè si realizzerà finalmente il disegno a cui D’Alema lavora dal 2018, da quando Renzi perse rovinosamente il referendum sulle riforme costituzionali. Stefano Bonaccini sarebbe il candidato giusto per succedere a Letta, ma i bersanian-dalemiani lo considerano troppo amico di Renzi e, soprattutto, troppo autonomo. Il nuovo Pd si avvicinerà fatalmente ai 5S. I cattolici del Pd in questo abbraccio con Grillo, Travaglio e Dibba probabilmente si sentiranno molto a disagio.
Anche mr. Papeete Salvini, se Giorgia non gli concederà di fare il ministro dell’interno, ha una brillante carriera davanti a sé: in Ungheria da Orban, probabilmente, o alla Duma appena Putin volerà giù da una finestra.
Grazie alla vittoria del Monza sulla Juventus, Silvio è tornato in Parlamento. Potrebbe fare il presidente del Senato.
Nel frattempo siamo tornati un paese sotto osservazione internazionale, in particolare quella francese, come nel 1860. Il primo ministro macroniano Elisabeth Borne ha sentenziato che “la Francia vigilerà sul rispetto dei diritti umani in Italia”. E il Ministro degli Esteri spagnolo Josè Manuel Albarès – “menagramo di un menagramo”, direbbe il Duca Conte Semenzara – ci ha tenuto a formulare all’Italia il suo personalissimo augurio: “I populismi terminano sempre con una catastrofe”. Perché è questo il vero dramma del nostro paese: è schiacciato tra due populismi, il voto di ieri rispecchia fedelmente il voto del 2018.
Va detto che i fan di Giorgia per ora ci hanno risparmiato i festeggiamenti col saluto romano, ma siamo abbastanza fiduciosi sul fatto che presto ci toccherà bere anche questo amaro calice, auguriamoci che non sia pieno di olio di ricino. Visto che il debito pubblico italiano viaggia verso il 150% del Pil e che ci tengono in piedi i 250 miliardi dell’Europa e del PNRR, c’è però soprattutto da augurarsi che Giorgia non faccia troppo la pazzerella con Bruxelles.
Interessanti anche le ripercussioni a livello locale. A Reggio il Pd porta a casa un miserrimo 30,9%. Vanno bene invece l’alleanza Sinistra Italiana-Verdi, che strappa il 6%, e Renzi e Calenda, vicini al 10%, non proprio una percentuale da prefisso telefonico. Attenzione, però, a Reggio Sinistra Italiana è all’opposizione, e Renzi per la Ditta lettian-bersaniana rimane il nemico pubblico numero uno. Con il voto di ieri, un’alleanza tra SI e M5S partirebbe a Reggio da una base del 15%. Le elezioni amministrative si terranno tra poco più di un anno e mezzo e si preannunciano particolarmente interessanti.
La chiosa finale perfetta sulle elezioni italiane l’ha data però un blogger ucraino, che ha scritto: “Nel parlamento ucraino c’era un deputato di estrema destra, e un giorno sì e l’altro no sono usciti articoli che dicevano che l’Ucraina è uno stato nazista. Ora quando comincia la campagna dei media sull’Italia che ha il partito al Governo che è letteralmente fascista?”.
Per finire, un consiglio: tirate fuori i maglioni invernali, questo autunno, tra le bollette astronomiche della multiutility e i rubinetti chiusi della Gazprom, farà molto freddo.